Diritto alla salute nella normativa emergenziale Covid-19
- by Segreteria ADGI
- 17 apr 2020
La legge n. 225 del 1992 prevede che al verificarsi di «calamità naturali, catastrofi o altri eventi che, per intensità ed estensione, debbono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari» il Consiglio dei ministri può deliberare lo stato di emergenza, determinandone durata ed estensione territoriale in stretto riferimento alla qualità ed alla natura degli eventi e che si provvede anche «a mezzo di ordinanze in deroga ad ogni disposizione vigente, e nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico» (art. 5, comma 2). Tali ordinanze sono emanate dal Presidente del Consiglio dei ministri o da commissari delegati ed il provvedimento che reca la delega a questi ultimi deve indicarne il contenuto, i tempi e le modalità del suo esercizio (art. 5, comma 4).Le ordinanze devono contenere l'indicazione delle principali norme a cui si intende derogare e devono essere motivate (art. 5, comma 5). Sono pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e trasmesse ai sindaci interessati per la pubblicazione nell'albo pretorio (art. 5, comma 6).
L’esplosione della pandemia da Covid-19, che, peraltro, nel nostro Paese ha provocato e sta ancora provocando migliaia di decessi, ha determinato la necessità di far ricorso alla citata normativa emergenziale.
Con delibera del Consiglio dei Ministri del 31 gennaio 2020 ( pubblicata sulla GU n. 26 del 01.02.2020) è stato deliberato lo stato di emergenza e, per l'effetto, nel seguito, sono state prodotte una serie di norme ( DPCM, Ordinanze dei Presidenti Regionali, Linee di indirizzo Ministeriali, Protocolli, Messaggi, Circolari Regionali/INAIL, INPS, ecc) che disorientano l'interprete e minano anche l'assetto delle fonti del diritto stante la «attrazione» di interi ambiti materiali nell'orbita della legislazione di emergenza, con conseguente sottrazione di questi ultimi alla legislazione parlamentare e, più in generale, alla legislazione primaria.
Con D. L. n. 6 del 23.02.2020, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza Covid – 19, all’art. 3, intitolato: “attuazione delle misure di contenimento”, il Governo ha attribuito la competenza ad adottare le misure di contenimento, al Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro della salute, sentiti il Ministro dell’Interno, il Ministro della difesa, il Ministro dell’economia e delle finanze e gli altri Ministri competenti per materia, nonché i Presidenti delle Regioni competenti, ovvero il Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome nel caso in cui le misure riguardassero il territorio nazionale. Tale decreto, agli artt. 1 e 2, nell’ elencare la tipologia delle misure, ne consente anche altre più restrittive atipiche, facendo un generico riferimento a non meglio specificate “autorità competenti” ad emanarle.
Con successivo D.L. n. 19 del 25 marzo 2020, all’art. 3 “Misure urgerti di carattere regionale o infraregionale” è stato altresì previsto : “1. Nelle more dell’adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri di cui all’art. 2, comma 1 e con efficacia limitata fino a tale momento, le Regioni, in relazione a specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario verificatesi nel loro territorio o in parte di esso, possono introdurre misure ulteriormente restrittive tra quelle di cui all’art. 1, comma 2, esclusivamente nell’ambito delle attività di loro competenza e senza incidere sulle attività produttive e di quelle di rilevanza strategica per l’economia nazionale. 2. I Sindaci non possono adottare, a pena di inefficacia, ordinanze contingibili ed urgenti dirette a fronteggiare l’emergenza in contrasto con quelle statali, né eccedendo i limiti di oggetto di cui al comma 1. 3. Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì agli atti posti in essere per ragioni di sanità in forza di poteri attribuiti da ogni disposizione di legge previgente.”
Sul punto, anche l'ex Ministro della Giustizia ed ex Presidente della Corte Costituzionale Giovanni Maria Flick in una recente intervista[1] non ha potuto fare a meno di evidenziare che "grande è la confusione tra decreti del Governo, ordinanze regionali e comunali e DPCM e in questa grande confusione, su cui si innesta la contrapposizione politica, si possono creare problemi di equilibrio nella ricerca di leale collaborazione tra le istituzioni che sempre la Corte Costituzionale sollecita e prima ancora nell'equilibrio che l'articolo 5 della Costituzione richiede tra Stato centrale e poteri locali". E che la logica del Decreto Legge è proprio di evitare che l'Italia sia tagliata in 18 piccole Repubbliche con il rischio di diventare un colpo di piccone per gli equilibri della Costituzione e costringere il Governo a rivolgersi al TAR ed al Consiglio di Stato per poi investire, eventualmente, la Corte Costituzionale.
Le recenti stringenti misure emergenziali disposte dai d.P.C.M. del 1° marzo 2020, del 4 marzo 2020, dell’8 marzo 2020 e, per l’intero territorio nazionale, dal d.P.C.M. del 9 marzo 2020 e dal d.P.C.M. dell’11 marzo 2020, pongono, inoltre, perplessità atteso che con una fonte di diritto secondaria, quale il DPCM, si è andato ad incidere su diritti costituzionali dei cittadini quali: la libertà di circolazione sul territorio nazionale (art. 16); la libertà di riunione ed associazione artt. 17 e 18 ed in qualche modo persino la libertà di culto (art. 19) essendo impossibile lo svolgimento di manifestazioni religiose che prevedono necessariamente la vicinanza fra le persone e, non da ultimo, sull'’iniziativa economica privata (art. 41).
Per quanto ovvio, non è banale rammentare che la tutela del diritto alla salute previsto dall’art. 32 della nostra Costituzione e, nell’attuale situazione emergenziale la tutela del diritto alla vita, sono certamente diritti preminenti, in ragione dei quali ben può giustificarsi una momentanea compressione delle altre libertà costituzionali sopra menzionate.
La nostra legislazione ha previsto anche in passato misure restrittive, di isolamento e di controllo, per malattie gravi come: vaiolo, colera, malattie trasmissibili sessualmente; nonché trattamenti sanitari obbligatori in psichiatria ed anche le vaccinazioni obbligatorie.
Tuttavia le limitazioni riguardavano solo i soggetti colpiti da queste patologie e non l’intera collettività.
La compatibilità delle presenti misure in materia di tutela della salute con restrizione di diritti costituzionali di così ampia portata si scontra infatti, in linea teorica, con il diritto primario all’autodeterminazione. Vi è però un limite invalicabile: il danno cagionato o subito alla propria salute non può produrre danno alla salute degli altri.
Il diritto alla salute è una delle massime manifestazioni della libertà e della dignità della persona nelle scelte che riguardano il proprio sé e il proprio corpo.
Il diritto alla salute nella Costituzione non è però solo un diritto fondamentale della persona, ma insieme e inscindibilmente, anche interesse della collettività (art. 32 Cost.).
Da ciò deriva che la tutela della salute collettiva è esigenza prevalente sull’esercizio degli altri diritti costituzionali: la tutela della salute è all’apice della scala dei valori costituzionali.
La salute, infatti, non è sinonimo di assenza di malattia, ma di benessere psico-fisico generale ed è proprio questa condizione a consentire al cittadino di esercitare appieno la libertà di movimento, di viaggiare, di partecipare ai momenti di vita pubblica, di socializzare, di svolgere attività sportive, ricreative. La salute è funzionale all’esercizio della cittadinanza attiva, sia attraverso il lavoro in tutte le sue declinazioni, sia con la piena partecipazione alla vita sociale, culturale e politica del Paese.
Pertanto, l’interesse della collettività, di fronte a situazioni di gravissima emergenza sanitaria e alla minaccia per la salute di tutti i cittadini, assurge ad un valore superiore, capace di giustificare, nell'ottica del principio di prevenzione su basi scientifiche, severe restrizioni alla libertà della persona a tutela della "c.d. immunità di gregge" conformemente anche al principio solidaristico di cui all'articolo 2 della Costituzione a tutela del funzionamento del Servizio Sanitario Nazionale per l’accresciuta esigenza di ricoveri nei reparti di terapia intensiva, nell’assenza, allo stato, di una copertura vaccinale contro il nuovo Covid-19.
(Chiara Tagliaferro) (Raffaella de Camelis)
[1] Si veda il Quotidiano "La Stampa" del 14 aprile 2020